
Niente soldi per le pensioni? - (pafleg.it)
Il tema delle pensioni in Italia si conferma tra i nodi più complessi e delicati del sistema sociale ed economico nazionale
Mentre si registra una crescente difficoltà a intervenire sul sistema di calcolo degli assegni pensionistici a causa della scarsità di risorse, si apre la prospettiva che un numero sempre maggiore di pensionati sarà costretto a rientrare nel mondo del lavoro per integrare un reddito insufficiente per vivere dignitosamente.
L’attenzione pubblica e politica si è spesso concentrata sulle regole per l’accesso alla pensione, in particolare sull’età di uscita dal lavoro, ma il vero problema risiede nella modesta consistenza degli assegni pensionistici. Le riforme introdotte tra il 1995 e il 1996 con la riforma Dini, poi confermate e inasprite dalla riforma Fornero, hanno introdotto il sistema di calcolo contributivo basato esclusivamente sui versamenti effettuati durante la carriera lavorativa.
La crisi degli importi pensionistici e il rischio di povertà
Questo sistema, oggi pienamente operativo, rischia di generare assegni troppo bassi, soprattutto per chi ha avuto carriere lavorative discontinue, contratti precari o retribuzioni basse. Secondo i dati più recenti dell’INPS aggiornati ad aprile 2025, l’importo medio lordo delle pensioni si attesta a 1.229 euro mensili, con una netta disparità di genere: 1.486 euro per gli uomini e poco più di 1.000 euro per le donne (1.011 euro). Queste cifre sono insufficienti per garantire una vecchiaia serena e rappresentano un problema strutturale che non accenna ad attenuarsi.

La Commissione Europea ha più volte sottolineato la criticità della situazione, evidenziando che “senza correttivi, il sistema contributivo produce pensioni insufficienti a garantire una vecchiaia dignitosa”. L’assenza di interventi significativi sulle modalità di calcolo contribuisce a far emergere un rischio concreto di aumento della povertà tra gli anziani.
Le proiezioni demografiche evidenziano un quadro preoccupante: entro il 2050 in Italia saranno oltre 20 milioni i pensionati, a fronte di poco più di 26 milioni di occupati. Questo rapporto, quasi paritario, appare insostenibile per un sistema a ripartizione che si basa sui contributi dei lavoratori attivi per pagare le pensioni.
Alla luce del calo demografico e della contrazione della forza lavoro, il bilancio pubblico è fortemente gravato dall’impegno per il pagamento delle pensioni, che nel 2025 raggiunge i 253,9 miliardi di euro. Tuttavia, nonostante la spesa elevata, gli assegni medi restano bassi per milioni di pensionati.
Di fronte a pensioni insufficienti, molti pensionati si trovano a dover fare i conti con un bivio: ridurre drasticamente le spese o cercare un reddito aggiuntivo tornando a lavorare. La normativa italiana consente infatti, salvo eccezioni come Quota 103, il cumulo del reddito da pensione con quello da lavoro senza limiti.
Questa possibilità, apparentemente positiva, nasconde una realtà più amara: il bisogno di tornare a lavorare dopo una lunga carriera è il segnale di un sistema previdenziale che non assicura un adeguato sostegno economico agli anziani. Il ritorno al lavoro dei pensionati rischia inoltre di comprimere ulteriormente i salari e di sottrarre opportunità occupazionali ai giovani, aggravando le tensioni nel mercato del lavoro e alimentando un circolo vizioso.
L’unica alternativa per migliorare la situazione è la previdenza complementare, che però coinvolge oggi solo un terzo dei lavoratori. Chi avrebbe più bisogno di un’integrazione pensionistica spesso non ha la possibilità economica di aderire a forme di previdenza aggiuntiva.